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cariche domestiche, aveva avuto campo di conoscer gli
uomini e le cose; e dà prova nella sua storia d esserci
non volgarmente riuscito. Ma i giudizi criminali, e la po-
vera gente, quand è poca, non si riguardano come mate-
ria propriamente della storia; sicché, non c è da maravi-
gliarsi che, occorrendo al Nani di parlare
incidentemente di quel fatto, non ci guardasse tanto per
la minuta. Se alcuno gli avesse citata un altra colonna, e
un altra iscrizione di Milano, come prova d una sconfit-
ta ricevuta da veneziani (sconfitta tanto vera, quanto il
delitto di que mostri), certo il Nani si sarebbe messo a
ridere.
Fa più maraviglia e più dispiacere il trovar lo stesso
argomento e gli stessi improperi, in uno scritto d un uo-
mo molto più celebre, e con gran ragione. Il Muratori,
nel «Trattato del governo della peste», dopo avere ac-
cennato diverse storie di quel genere, «ma nessun caso»,
dice, «è più rinomato di quel di Milano, ove nel conta-
gio del 1630, furono prese parecchie persone, che con-
fessarono un sì enorme delitto, e furono aspramente
giustiziate. Ne esiste tuttavia (e l ho veduta anch io) la
funesta memoria nella Colonna infame posta ov era la
casa di quegli inumani carnefici. Il perché grande atten-
zion ci vuole affinché non si rinnovassero più simili ese-
crande scene.» E quello che, non toglie il dispiacere, ma
Letteratura italiana Einaudi 107
Alessandro Manzoni - La storia della Colonna Infame
lo muta, è il veder che la persuasione del Muratori non
era così risoluta come queste sue parole. Ché, venendo
poi a discorrere (e si vede che è ciò che gli preme davve-
ro) de mali orribili che posson nascere dal figurarsi e
dal credere tali cose senza fondamento, dice: «si giunge
ad imprigionar delle persone, e per forza di tormenti a
cavar loro di bocca la confession di delitti ch eglino for-
se non avranno mai commesso, con far poi di loro un
miserabile scempio sopra i pubblici patiboli». Non par
egli che voglia alludere ai nostri disgraziati? E quello
che lo fa creder di più, è che attacca subito con quelle
parole che abbiam già citate nello scritto antecedente, e
che, per esser poche, trascriviam qui di nuovo: «Ho tro-
vato gente savia in Milano, che aveva buone relazioni
dai loro maggiori, e non era molto persuasa che fosse ve-
ro il fatto di quegli unti velenosi, i quali si dissero sparsi
per quella città, e fecero tanto strepito nella peste del
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1630 .» Non si può, dico, fare a meno di non sospettare
che il Muratori credesse piuttosto sciocche favole quelle
che chiama «esecrande scene», e (ciò che è più grave)
innocenti assassinati quelli che chiama «inumani carne-
fici». Sarebbe uno di que casi tristi e non rari, in cui uo-
mini tutt altro che inclinati a mentire, volendo levar la
forza a qualche errore pernicioso, e temendo di far peg-
gio col combatterlo di fronte, hanno creduto bene di dir
prima la bugia, per poter poi insinuare la verità.
Dopo il Muratori, troviamo uno scrittore più rinoma-
to di lui come storico, e (ciò che in un fatto di questa
sorte parrebbe dover rendere il suo giudizio più degno
d osservazione di qualunque altro) storico giureconsul-
to, e, come dice di sé medesimo, «più giureconsulto che
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politico », Pietro Giannone. Noi però non riferiremo
questo giudizio, perché è troppo poco che l abbiam rife-
rito: è quello del Nani che il lettore ha veduto poco fa, e
che il Giannone ha copiato, parola per parola, citando
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questa volta il suo autore appiè di pagina .
Letteratura italiana Einaudi 108
Alessandro Manzoni - La storia della Colonna Infame
Dico: questa volta; perché il copiarlo che ha fatto sen-
za citarlo, è cosa degna d esser notata, se, come credo,
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non lo fu ancoral i. Il racconto, per esempio, della solle-
vazione della Catalogna, e della rivoluzione del Porto-
gallo, nel 1640 è, nella storia del Giannone, trascritto da
quella del Nani, per più di sette pagine in 4°, con po-
chissime omissioni, o aggiunte, o variazioni, la più consi-
derabile delle quali è d aver diviso in capitoli e in capo-
versi un testo che nello scritto originale andava tutto di
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seguito . Ma chi mai s immaginerebbe che l avvocato
napoletano, dovendo raccontare altre sollevazioni, non
di Barcellona, né di Lisbona, ma quella di Palermo, del
1647, e quella di Napoli, contemporanea e più celebre,
per la singolarità e per l importanza degli avvenimenti, e
per Masaniello, non trovasse da far meglio, né da far più
che di prendere, non i materiali, ma la cosa bell e fatta,
dall opera del cavaliere e procurator di san Marco? Chi
l anderebbe a pensare soprattutto dopo aver lette le pa-
role con le quali il Giannone entra in quel racconto? e
son queste: «Gli avvenimenti infelici di queste rivoluzio-
ni sono stati descritti da più autori: alcuni gli vollero far
credere portentosi, e fuor del corso della natura: altri
con troppo sottili minuzie distraendo i leggitori, non ne
fecero nettamente concepire le vere cagioni, i disegni, il
proseguimento, ed il fine: noi per ciò, seguendo gli scrit-
tori più serj e prudenti, gli ridurremo alla lor giusta e na-
tural positura.» Eppure ognuno può vedere, facendo il
confronto, come, subito dopo queste sue parole, il
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Giannone metta mano a quelle del Nani , frammi-
schiandoci ogni tanto, e specialmente sul principio,
qualcheduna delle sue, facendo qua e là qualche cam-
biamento, alle volte per necessità, e nella stessa maniera
che uno, il qual compri biancheria usata, leva il segno
dell antico padrone, e ci mette il suo. Così, dove il vene-
ziano dice: «in quel regno», il napoletano sostituisce: «in
questo regno»; dove il contemporaneo dice che vi «re-
Letteratura italiana Einaudi 109
Alessandro Manzoni - La storia della Colonna Infame
stano le fazioni quasi che intiere», il postero, che vi «re-
stavano ancora le reliquie dell antiche fazioni». È vero
che, oltre queste piccole aggiunte o variazioni, si trova-
no anche in quel lunghissimo squarcio, come pezzi mes-
si a rimendo, alcuni brani più estesi, che non son del
Nani. Ma, cosa veramente da non credersi, son presi da
un altro quasi tutti, e quasi parola per parola: è roba di
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Domenico Parrino , scrittore (alla rovescia di molt altri)
oscuro, ma letto molto, e fors anche più di quello che
sperava lui medesimo, se, in Italia e fuori, è letta quanto
lodata la «Storia civile del regno di Napoli», che porta il
nome di Pietro Giannone. Ché, senza allontanarci da
que due periodi di storia de quali s è fatto qui menzio-
ne, se, dopo le sollevazioni catalana e portoghese, il
Giannone, trascrive dal Nani la caduta del favorito Oli-
vares, trascrive poi dal Parrino il richiamo del duca di
Medina vicerè di Napoli, che ne fu la conseguenza, e i
ritrovati di questo per cedere il più tardi che fosse possi-
bile il posto al successore Enriquez de Cabrera. Dal Par-
rino ugualmente, in gran parte, il governo di questo; e
poi dall uno e dall altro, a intarsiatura, il governo del
duca d Arcos, per tutto quel tempo che precedette le
sollevazioni di Palermo e di Napoli, e come abbiam det-
to, il progresso e la fine di queste, sotto il governo di D.
Giovanni d Austria, e del conte d Oñatte. Poi dal Parri-
no solo, sempre a lunghi pezzi, o a pezzettini frequenti,
la spedizione di quel vicerè contro Piombino e Porto-
longone; poi il tentativo del duca di Guisa contro Napo-
li; poi la peste del 1656. Poi dal Nani la pace de Pirenei,
e dal Parrino una piccola appendice dove sono accenna-
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ti gli effetti di essa nel regno di Napoli . [ Pobierz całość w formacie PDF ]

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